Che l’Impact Hub fosse una realtà innovativa e sorprendente già lo sapevo. Nonostante ciò, sono rimasta – piacevolmente – stupita dall’apprendere che è ora diventata oggetto nientedimeno che di una…tesi di laurea!
Il laureato in “impacthubbologia” si chiama Cristiano Porcelli ed è un giovane Hubber beneventano di nascita e torinese di adozione. Ecco come mi ha raccontato la storia (d’impatto) della sua tesi.
Cristiano, raccontaci qualcosa di te!
Mi chiamo Cristiano Porcelli. Sono un giovane interior designer di 27 anni, vengo da Apice un piccolo paesino della provincia di Benevento. Ho conseguito la mia laurea triennale lo scorso luglio allo IAAD di Torino e ora lavoro in uno studio di progettazione nella medesima città. Sono una persona energica, solare, socievole, allegra, che cerca di vivere la vita in maniera positiva. Sono estremamente ambizioso e determinato, metto tutto me stesso per realizzare i miei sogni. Amo viaggiare, cucinare, disegnare, ma soprattutto amo il mio lavoro, amo guardare il mondo e tutto ciò che mi circonda, amo le forme semplici e razionali, amo progettare per migliorare il benessere dell’uomo.
Di che cosa tratta la tua tesi su Impact Hub Torino? Quali aspetti sono evidenziati?
La mia tesi si basa sulla progettazione di uno spazio di coworking sviluppato con l’azienda Impact Hub Torino, in uno spazio industriale che fa parte della riqualificazione del complesso ex INCET. Ho sviluppato il concept dell’intero progetto sulle interazioni umane e sui legami che si vanno a creare sul posto di lavoro. Per creare una trasmissione di conoscenza e migliorare il benessere dei rapporti tra gli individui, si deve creare un rapporto umano, prima di quello lavorativo. Proprio come in ambito musicale, dove si dice che ”due musicisti prima di suonare bene insieme devono essere amici”. Per fare ciò bisogna creare un ambiente, che nell’inconscio dell’utente, trasmetta un’ atmosfera familiare e di unione abbattendo tutte le “frontiere Invisibili”. Gli spazi che possono comunicare un atmosfera così forte ed incisiva, sono spazi come la casa, legati alla nostra sfera emotiva personale, o spazi come un parco, legati ad una percezione di benessere e tranquillità immediata. Ho portato questo concetto nel mio spazio creando un ibrido tra gli spazi del sistema casa, che sviluppano maggiormente l’interazione, come il soggiorno e la cucina e un parco Industriale, in modo da creare un ambiente che generi ,da un lato un senso di familiarità e di comunità e dall’altro ricordi il passato e la storia di un edificio, che per anni è stato un grande polo industriale. L’utente che abiterà lo spazio si troverà a girovagare per un parco industriale dove le doppie altezze, i materiali utilizzati e gli oggetti scenografici , come il container e le cabine telefoniche, genereranno in lui delle suggestioni. Il parco diventa quindi la pelle esterna di un ambiente, che racchiude al suo interno spazi del sistema casa, come la cucina e il salotto, che diventano ambienti polifunzionali.
Perché hai scelto questo argomento?
Ho scelto questo argomento perché ho sempre sognato di progettare uno spazio di lavoro “creativo”, che aiuti l’utente a vivere meglio l’ambiente lavorativo e che lo spinga a produrre nuove idee. Gli obbiettivi sono quelli di creare connessioni e confronti tra gli utenti, di far percepire il movimento e la dinamicità lavorativa sia del singolo che del gruppo, di spingere e generare una crescita dell’individuo grazie alle connessioni e ai rapporti umani che si generano sul luogo di lavoro.
Cosa significa per te essere un Hubber?
Per me essere un Hubber significa far parte di una comunità, significa confronto, significa crescita, significa conoscere, significa sentirsi parte di una grande famiglia.
Federica De Benedictis – Dire Fare Mole